La prima catilinaria si apre con un esordio concitato, un periodare paratattico e incalzante, ricco di interrogative retoriche che puntano più sul movere che sul probare la colpevolezza di Catilina. Intento di Cicerone è infatti quello di convincere Catilina ad abbandonare Roma, più che a condannarlo. Tra il primo e il secondo paragrafo si assiste a questo incalzare sempre più insistente, volto a porre Catilina in posizione di scacco anche su piano emotivo. Quindi nei paragrafi 3 e 4 il console cita l’esempio di privati cittadini che uccisero senza processo alcuni personaggi ritenuti pericolosi (ognuno definito con l’espediente retorico di utilizzare sempre un participio presente per indicare l’azione di cui era imputato). La contrapposizione tra quei gesti di coraggio e devozione verso lo stato, alla debolezza di un senatoconsulto che continua a temporeggiare, è sottolineata antifrasticamente dal chiasmo fortes viri/viri fortes e dall’utilizzo dei tempi verbali: passato nel quarto paragrafo e presente nel quinto.
[1] Quo usque tandem abutere1, Catilina, patientia nostra? quam diu etiam furor iste tuus nos eludet? quem ad finem sese effrenata iactabit audacia? Nihilne te nocturnum praesidium Palati, nihil urbis vigiliae, nihil timor populi, nihil concursus bonorum omnium, nihil hic munitissimus habendi senatus locus, nihil horum ora voltusque moverunt? Patere tua consilia non sentis, constrictam iam horum omnium scientia teneri coniurationem tuam non vides? Quid proxima, quid superiore nocte egeris, ubi fueris, quos convocaveris, quid consilii ceperis, quem nostrum ignorare arbitraris?
[2] O tempora, o mores! Senatus haec intellegit. Consul videt; hic tamen vivit. Vivit? immo vero etiam in senatum venit, fit publici consilii particeps, notat et designat oculis ad caedem unum quemque nostrum. Nos autem fortes viri2 satis facere rei publicae videmur, si istius furorem ac tela vitemus. Ad mortem te, Catilina, duci iussu consulis iam pridem oportebat, in te conferri pestem, quam tu in nos omnis3 [omnes iam diu] machinaris.4
[3] An vero vir amplissumus, P. Scipio, pontifex maximus, Ti. Gracchum mediocriter labefactantem statum rei publicae privatus interfecit; Catilinam orbem terrae caede atque incendiis vastare cupientem nos consules perferemus? Nam illa nimis antiqua praetereo, quod C. Servilius Ahala Sp. Maelium novis rebus studentem manu sua occidit. Fuit, fuit ista quondam in hac re publica virtus, ut viri fortes acrioribus suppliciis civem perniciosum quam acerbissimum hostem coercerent. Habemus senatus consultum in te, Catilina, vehemens et grave, non deest rei publicae consilium neque auctoritas huius ordinis; nos, nos, dico aperte, consules desumus.
[4] Decrevit quondam senatus, ut L. Opimius consul videret, ne quid res publica detrimenti caperet; nox nulla intercessit; interfectus est propter quasdam seditionum suspiciones C. Gracchus, clarissimo patre, avo, maioribus, occisus est cum liberis M. Fulvius consularis. Simili senatus consulto C. Mario et L. Valerio consulibus est permissa res publica; num unum diem postea L. Saturninum tribunum pl. et C. Servilium praetorem mors ac rei publicae poena remorata est? At [vero] nos vicesimum iam diem patimur hebescere aciem horum auctoritatis. Habemus enim huiusce modi senatus consultum, verum inclusum in tabulis tamquam in vagina reconditum, quo ex senatus consulto confestim te interfectum esse, Catilina, convenit. Vivis, et vivis non ad deponendam, sed ad confirmandam audaciam. Cupio, patres conscripti, me esse clementem, cupio in tantis rei publicae periculis me non dissolutum videri, sed iam me ipse inertiae nequitiaeque condemno.
[5] Castra sunt in Italia contra populum Romanum in Etruriae faucibus conlocata, crescit in dies singulos hostium numerus; eorum autem castrorum imperatorem ducemque hostium intra moenia atque adeo in senatu videmus intestinam aliquam cotidie perniciem rei publicae molientem. Si te iam, Catilina, comprehendi, si interfici iussero, credo, erit verendum mihi, ne non potius hoc omnes boni serius a me quam quisquam crudelius factum esse dicat. Verum ego hoc, quod iam pridem factum esse oportuit, certa de causa nondum adducor ut faciam. Tum denique interficiere, cum iam nemo tam inprobus, tam perditus, tam tui similis inveniri poterit, qui id non iure factum esse fateatur.5
[6] Quamdiu quisquam erit, qui te defendere audeat, vives, et vives ita, ut [nunc] vivis. multis meis et firmis praesidiis obsessus, ne commovere te contra rem publicam possis. Multorum te etiam oculi et aures non sentientem, sicut adhuc fecerunt, speculabuntur atque custodient.
[1] Fino a quando, Catilina, abuserai dunque della pazienza nostra? Quanto a lungo ancora codesta tua follia ci schernirà? A che punto si spingerà (questa tua) sfrontata audacia? Non ti ha scosso né il presidio notturno sul Palatino, né la vigilanza della città, né il timore del popolo, né l’accorrere di tutti i boni, né questo luogo assai fortificato per accogliere il senato né l’espressione [lett.: la bocca] e il volto di questi? Non senti che i tuoi piani sono scoperti, non vedi che a tua congiura è ostacolata dal fatto che tutti ne sono a conoscenza [lett.: è tenuta ristretta dalla conoscenza di tutti questi]?
[2] O tempora, o mores! Il senato è a conoscenza di queste cose, il console (le) vede; questi tuttavia vive. Vive? Non solo, invero viene anche in senato, diviene partecipe alla pubblica decisione, osserva e condanna a morte chiunque dei nostri. A noi forti uomini tuttavia sembra di fare abbastanza per la repubblica, se evitiamo la follia e gli inganni di costui. Era opportuno, Catilina, che tu fossi condotto a morte sotto ordine del console già molto prima, che in te fosse raccolto il danno che tu [ormai da tempo] macchini per noi.
[3] O invero Publio Scipione, uomo grandissimo, pontefice massimo, uccise da privato (cittadino) Tiberio Gracco che (tentava di) danneggiare mediocremente la condizione della repubblica; noi consoli sopporteremo Catilina, che desidera devastare il mondo intero con morte e incendi? Infatti passerò avanti a quelle cose troppo antiche, ovvero che Caio Servilio Ahala uccise di sua mano Spurio Melio, che progettava azioni rivoluzionarie. Vi fu, vi fu un tempo codesta virtù in questa repubblica, (tanto che) uomini forti costringevano a supplizi più atroci un cittadino pericoloso che un acerrimo nemico. Contro di te, Catilina, possediamo un senato consulto energico e autorevole, non manca(no) l’avvedutezza della repubblica e l’autorità di questo ordine; noi, (lo) dico apertamente, noi consoli veniamo meno (al nostro dovere).
[4] Un tempo il senato decise che il console Lucio Opimio vigilasse affinché la repubblica non ricevesse qualche danno; non trascorse notte alcuna. Per qualche sospetto di sedizione fu ucciso Caio Gracco, di padre, nonno, antenati assai illustri; Fu ucciso con i (suoi) figli l’ex console Marco Fulvio. Da un simile senato consulto fu affidato lo stato ai consoli Caio Mario e Lucio Valerio. La morte e la pena dello stato hanno fatto attendere forse per un solo giorno Lucio Saturnino e il pretore Caio Servilio? E invece noi per il ventesimo giorno ormai sopportiamo che la forza dell’autorità di questi si indebolisca. Possediamo infatti un senato consulto di tale foggia, ma rinchiuso nelle scartoffie, come (una spada) chiusa nel fodero; da questo senato consulto, Catilina, conviene che tu sia ucciso. Vivi, e vivi non per abbandonare, ma per rinvigorire la (tua) audacia. Desidero, senatori, essere clemente, desidero non sembrare negligente in tanti pericoli per lo stato, ma già mi condanno di incapacità e inettitudine.
[5] Vi sono accampamenti in Italia contro il popolo romano collocati alle porte dell’Etruria; di giorno in giorno [lett.: in un singolo giorno] aumenta il numero dei nemici: inoltre vediamo l’imperator di questi accampamenti e il comandante dei nemici, tra le mura e persino in senato, che smuove quotidianamente un qualche flagello intestino per lo stato. Se ormai, Catilina, ordinerò che tu sia catturato, se (ordinerò che tu) sia ucciso, credo che dovrò temere che tutti i boni (dicano) che ciò è stato fatto troppo lentamente, più che che qualcuno dica (che ciò è stato fatto) troppo crudelmente. In realtà io per una precisa motivazione non sono ancora spinto a fare ciò che già precedentemente era opportuno fosse stato fatto. Allora infine sarai ucciso, poiché non si potrà più trovare nessuno tanto disonesto, tanto depravato, tanto simile a te, che non dichiari che ciò sia stato fatto secondo giustizia.
[6] Fintanto che ci sarà qualcuno che oserà difenderti, vivrai così come vivi, assediato dai miei molti e irremovibili presidi, perché tu non possa agire contro lo stato. Anche gli occhi e le orecchie di molti, così come hanno fatto finora, ti guarderanno e sorveglieranno senza che tu lo sappia.
All’iterno dell’ argumentatio , volta a spingere Catilina ad allontanarsi da Roma, Cicerone riprende un espediente già utilizzato da Platone nel “Critone” nel dialogo tra Socrate e le Leggi: la prosopopea, ovvero la prsonificazione di entità astratte. Si apre quindi la prosopopea della patria, nella quale il console immagina che questa parli con il reus e lo convinca di essere stato e di essere ancora motivo di terrore.
[17] Servi mehercule mei si me1 isto pacto metuerent, ut te metuunt omnes cives tui2, domum meam relinquendam putarem; tu tibi urbem non arbitraris? et, si me meis civibus iniuria suspectum tam graviter atque offensum viderem, carere me aspectu civium quam infestis omnium oculis conspici mallem; tu cum conscientia scelerum tuorum agnoscas odium omnium iustum et iam diu tibi debitum, dubitas, quorum mentes sensusque volneras, eorum aspectum praesentiamque vitare? Si te parentes timerent atque odissent tui3 neque eos ulla ratione placare posses, ut opinor, ab eorum oculis aliquo concederes. Nunc te patria, quae communis est parens omnium nostrum, odit ac metuit et iam diu nihil te iudicat nisi de parricidio suo cogitare; huius tu neque auctoritatem verebere nec iudicium sequere nec vim pertimesces?
[18] Quae tecum, Catilina, sic agit et quodam modo tacita loquitur: “Nullum iam aliquot annis facinus exstitit nisi per te, nullum flagitium sine te; tibi uni multorum civium neces, tibi vexatio direptioque sociorum inpunita fuit ac libera; tu non solum ad neglegendas leges et quaestiones, verum etiam ad evertendas perfringendasque valuisti. Superiora illa, quamquam ferenda non fuerunt, tamen, ut potui, tuli; nunc vero me totam esse in metu propter unum te, quicquid increpuerit, Catilinam timeri, nullum videri contra me consilium iniri posse, quod a tuo scelere abhorreat, non est ferendum. Quam ob rem discede atque hunc mihi timorem eripe; si est verus, ne opprimar, sin falsus, ut tandem aliquando timere desinam.”
[19] Haec si tecum, ut dixi, patria loquatur, nonne impetrare debeat, etiam si vim ashibere non possit?
[17] Se i mei servi, per Ercole!, mi temessero nel modo in cui ti temono tutti i tuoi cittadini [lett.: in codesto modo, come tutti i tuoi cittadini temono te], riterrei di dover abbandonare la mia casa; tu non ritieni (di dover abbandonare) la città? e, se vedessi che sono sospettato di violenza tanto seriamente dai miei concittadini e (fossi tanto) odiato, preferirei sottrarrmi dalla vista dei cittadini piuttosto che essere osservato daglisguardi ostili di tutti; tu, riconoscendo con la coscienza dei tuoi delitti il giusto e già da tempo meritato odio di tutti, esiti a evitare la vista e la presenza di coloro che ferisci nello spirito e nei sentimenti [lett.: dei quali ferisci di mente e di sentimenti]? Se i genitori ti temessero e ti odiassero e non potessi calmarli con nessuna spiegazione, come credo, te ne andresti via dai loro occhi in qualche luogo. Ora la patria, che è genitrice comune di tutti noi, ti odia e teme e già a lungo ritiene che tu mediti del suo parricidio; e tu non rispetterai l’autorità di questa, non seguirai la (sua) decisione, non temerai la (sua) forza?
[18] E questa, Catilina, così si comporta con te e in questo modo tacita parla: “Ormai da anni non esiste alcun delitto se non mediante te, nessun crimine senza di te; per te solo fu impunita e libera l’uccisione di cittadini, per te la vessazione e il saccheggio degli alleati; tu non soltanto sei stato capace di trascurare le leggi e i tribunali, ma (le) hai anche rovesciate e infrante. Quelle azioni precedenti, sebbene non furono da tollerare, tuttavia, come ho potuto, le ho sopportate; ma ora non si deve sopportare che io sia interamente nella paura a causa di te unico, che io tema Catilina per qualsiasi rumore minaccioso [lett.: che Catilina sia temuto qualsiasi rumore faccia risuonare], che sembri che non si possa intraprendere nessun complotto contro di me che non rifugga da un tuo misfatto. Per questo motivo allontanati e strappa da me questo timore; se è vero, perché non (ne) sia oppressa, se invece è falso, perché io cessi finalmente di temere.
[19] Se la patria parlasse con te come ho detto, non dovrebbe forse ottenere (ciò che chiede), nonostante non possa utilizzare la forza?
La prima catilinaria si conclude con una peroratio vibrante, caratterizzata all’inizio da un periodare paratattico e ricco di climax, infine dall’invocazione a Giove affinché Catinila abbandoni la patria, cosa che farà la sera stessa.
[32] Quare secedant inprobi, secernant se a bonis, unum in locum congregentur, muro denique, [id] quod saepe iam dixi, secernantur a nobis; desinant insidiari domi suae consuli, circumstare tribunal praetoris urbani, obsidere cum gladiis curiam, malleolos et faces ad inflammandam urbem comparare; sit denique inscriptum in fronte unius cuiusque, quid de re publica sentiat. Polliceor hoc vobis, patres conscripti, tantam in nobis consulibus fore diligentiam, tantam in vobis auctoritatem, tantam in equitibus Romanis virtutem, tantam in omnibus bonis consensionem1, ut Catilinae profectione omnia patefacta, inlustrata, oppressa, vindicata2 esse videatis.
[33] Hisce ominibus, Catilina, cum summa rei publicae salute, cum tua peste ac pernicie cumque eorum exitio, qui se tecum omni scelere parricidioque iunxerunt, proficiscere ad impium bellum ac nefarium. Tu, Iuppiter, qui isdem quibus haec urbs auspiciis a Romulo es constitutus, quem Statorem huius urbis atque imperii vere nominamus, hunc et huius socios a tuis ceterisque templis, a tectis urbis ac moenibus, a vita fortunisque civium arcebis et homines bonorum inimicos, hostis patriae, latrones Italiae scelerum foedere inter se ac nefaria societate coniunctos aeternis suppliciis vivos mortuosque mactabis.
[32] Per questa cosa si allontanino i disonesti, si separino dai boni, siano riuniti in un unico luogo, infine con un muro, che ormai ho citato spesso, siano divisi da noi; smettano di tramare nella patria del loro console, di circondare il tribunale del pretore urbano, di assediare con le spade la curia, di preparare fiaccole e proiettili incendiari per bruciare la città; sia quindi scritto sulla fronte di ciascuno che cosa prova per lo stato. Vi prometto questo, senatori, che ci sarà tanta attenzione in noi consoli, tanta autorità in voi, tanto valore nei cavalieri romani, tanto accordo in tutti i boni, che vedrete con la partenza di Catilina che tutti gli avvenimenti saranno chiariti, spiegati, oppressi, vendicati.
[33] Per tutti i presagi, Catilina, per la salvezza della repubblica, per tua calamità e danno, per la distruzione di tutti coloro, che si unirono con te in ogni delitto e parricidio, parti per l’empia e nefasta guerra. Tu, Giove, che sei stato fondato da Romolo con gli stessi auspici, per i quali (ha fondato) la città, che chiamiamo giustamente Statore di questa città e del potere, trattieni questo e gli alleati di questo dai tuoi (altari) e da tutti i templi, dai tetti della città e dalle mura, dalla vita e dal destino dei cittadini, e uccidi con eterni supplizi, vivi e morti, gli uomini avversi ai boni, nemici della patria, ladri dell’Italia, legati dal patto di crimini e da una nefasta alleanza.